Dalla riduzione delle aliquote alla penalita’ per chi smette di lavorare prima dei nuovi limiti: ecco, caso per caso, quanto pesera’ sulle pensioni future degli italiani l’ “austerity” proposta dal governo I conti in tasca alla Finanziaria che ha rivoluzionato il sistema – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – L’ anzianita’ diventa un miraggio. Perche’ avere una pensione “intera” dopo 35 anni di contributi d’ ora in poi sara’ impossibile. A meno che non si sia disposti a sacrificare una parte consistente dell’ assegno. Pagando le salate penalizzazioni (fino al 40%) proposte dal governo nel disegno di legge. Ma i futuri pensionati dovranno fare i conti anche con i nuovi meccanismi di calcolo che abbasseranno le rendite di chi ha piu’ di quindici anni di contributi. I piu’ penalizzati saranno coloro che finora hanno beneficiato di aliquote di rendimento superiori al 2% per ogni anno di contribuzione. La misura del taglio e’ ancora oggetto di discussione: quel che e’ certo e’ che dal 1996 al 2001 l’ aliquota scendera’ all’ 1,75%. Poi si vedra’ . Tre per cento. Rimangono i 35 anni di contributi per raggiungere il diritto alla pensione, ma chi scegliera’ di lasciare il lavoro prima della “vecchiaia” (oggi fissata a 61 anni per gli uomini e a 56 per le donne) si vedra’ decurtato l’ assegno del 3% per ogni anno di anticipazione. La riduzione non potra’ comunque superare il 40% e non si applichera’ a chi ha raggranellato 40 anni di contributi, che, almeno per ora, costituiscono l’ anzianita’ contributiva massima pensionabile. Percio’ un lavoratore di 50 anni che decide di smettere nel ‘ 96 con 35 anni di anzianita’ subira’ una decurtazione del 3% per ognuno dei 12 anni che lo separano dall’ eta’ di vecchiaia stabilita per quell’ anno (62 anni). Sicche’ , al posto del milione e mezzo che gli spetterebbe ogni mese percepira’ solo 960 mila lire, con una perdita secca di 540 mila lire (36%). Naturalmente, poiche’ il tetto dell’ eta’ pensionabile sale gradualmente (fino a raggiungere i 65 anni per gli uomini e i 60 per le donne nel 2000) chi decidesse di andare in pensione a 50 anni nel 1999 perdera’ una somma molto maggiore: perche’ a quella data l’ eta’ pensionabile maschile sara’ fissata a 64 anni. Ancora piu’ duro il “colpo” per i dipendenti del pubblico impiego, dove la sorte delle baby pensioni e’ ancora oggetto di discussione. Pare sicuro, pero’ , che la riduzione del 3% per ogni anno di anticipazione rispetto all’ eta’ di vecchiaia tocchera’ anche a loro, che avevano gia’ subito una decurtazione con la scorsa manovra. Allora, pero’ , il taglio (2% l’ anno in media) era rapportato agli anni mancanti ai 35 di contribuzione. Il gioco delle aliquote. Quanto incidera’ il taglio nelle aliquote di rendimento? Nel grafico riportato qui sopra sono riportate le vecchie e le nuove prestazioni a cui hanno diritto tre assicurati Inps: un neoassunto venticinquenne, un trentacinquenne con 13 anni di anzianita’ e un quarantenne che lavora da venti. Al venticinquenne, trascorsi i quarant’ anni sul posto di lavoro, spettera’ una pensione, invariata rispetto alle regole attuali, pari a 32,2 milioni di lire attuali pari al 63% del suo ultimo stipendio. Al trentacinquenne verra’ riconosciuta una rendita, anch’ essa non penalizzata dal cambio di normativa, pari al 59% dell’ ultimo stipendio. Ma e’ il quarantenne che sara’ penalizzato in misura maggiore dato che i due “colleghi” potranno beneficiare del paracadute dei 15 anni. Il quarantenne, invece, che ha maturato diciott’ anni di contributi al 31 dicembre ‘ 92, avra’ a 60 anni una pensione tagliata del 6%, passando da 45 milioni ai 42,4 ottenuti con le nuove regole. Le cose potrebbero cambiare se in futuro si tornera’ alla cara vecchia aliquota del 2%. ————————- PUBBLICATO —————————— TITOLO: Colpito chi ha iniziato molto giovane ANZIANITA’ – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – L’ anzianita’ diventa un miraggio. Perche’ avere una pensione “intera” dopo 35 anni di contributi d’ ora in poi sara’ impossibile. A meno che non si sia disposti a sacrificare una parte consistente dell’ assegno. Pagando le salate penalizzazioni (fino al 40%) proposte dal governo nel disegno di legge. Ecco quanto costera’ d’ ora in avanti restare a casa prima dell’ eta’ di vecchiaia o prima di aver compiuto 40 anni di servizio. Tre per cento. Rimangono i 35 anni di contributi per raggiungere il diritto alla pensione, ma chi scegliera’ di lasciare il lavoro prima dell’ eta’ di vecchiaia (oggi fissata a 61 anni per gli uomini e a 56 per le donne) si vedra’ decurtato l’ assegno del 3% per ogni anno di anticipazione. La riduzione non potra’ comunque superare complessivamente il 40% e non si applichera’ a chi ha raggranellato 40 anni di contributi, che, almeno per ora, costituiscono l’ anzianita’ contributiva massima pensionabile. Percio’ un lavoratore di 50 anni che decide di smettere nel ‘ 96 con 35 anni di anzianita’ subira’ una decurtazione del 3% per ognuno dei 12 anni che lo separano dall’ eta’ di vecchiaia stabilita per quell’ anno (62 anni). Sicche’ , al posto del milione e mezzo che gli spetterebbe ogni mese percepira’ solo 960 mila lire, con una perdita secca di 540 mila lire (36%). Naturalmente, siccome il tetto dell’ eta’ pensionabile sale gradualmente (fino a raggiungere i 65 anni per gli uomini e i 60 per le donne nel 2000) chi decidesse di andare in pensione a 50 anni nel 1999 perdera’ una somma molto maggiore: perche’ a quella data l’ eta’ pensionabile sara’ fissata a 64 anni. E quindi a un cinquantenne mancherebbero 14 anni e non piu’ 12 per raggiungere il traguardo della vecchiaia. Cosi’ il taglio della rendita arriverebbe teoricamente al 42%. Ma la decurtazione reale sara’ del 40%. Perche’ piu’ di cosi’ , dice il disegno di legge, non si puo’ tagliare. Lo stesso discorso vale per le donne. Una signora che vorra’ andare in pensione nel 1999 a 55 anni perdera’ esattamente il 12% del suo assegno (240 mila lire, ipotizzando una rendita teorica di 2 milioni) perche’ le mancheranno quattro anni al raggiungimento della vecchiaia (59 anni). Ancora piu’ duro il “colpo” per i dipendenti del pubblico impiego. La riduzione del 3% per ogni anno di anticipazione infatti tocca anche queste pensioni, che avevano gia’ subito una decurtazione con la scorsa manovra. Allora il taglio (2% l’ anno in media) era rapportato agli anni mancanti ai 35 di contribuzione e non all’ eta’ pensionabile. Le vecchie norme. Si salvano in corner i piu’ vicini al traguardo. Chi ha gia’ maturato i 35 anni, o li raggiunge alla data di entrata in vigore della riforma (quindi presumibilmente prima della fine dell’ anno), beneficia delle vecchie regole (cioe’ evita la decurtazione). Ma deve lavorare un anno in piu’ o versare un anno in piu’ di contributi volontari: percio’ andare in pensione dal gennaio ‘ 96. Gli anni in piu’ diventano due per chi ha 34 anni di contributi: percio’ la loro pensione slitta al 1997. Restano poi molti dilemmi in merito al “blocco” fino a febbraio ‘ 95 stabilito dal decreto ad hoc anche per chi ha gia’ fatto domanda. Nell’ elenco di chi riesce a evitarlo (vedi riquadrato), il provvedimento inserisce in pratica anche gli statali che vogliano revocare la domanda fatta dopo il 1 luglio ‘ 94. Nulla viene detto, invece, a proposito della situazione dei pubblici dipendenti che abbiano fatto domanda (e si siano gia’ dimessi) prima di quella data, con l’ idea di andare in pensione a novembre. Ancora piu’ critica la situazione dei privati che si sono licenziati qualche settimana fa, sempre in attesa del 1 novembre: per loro c’ e’ il rischio di restare senza pensione e senza stipendio per qualche mese. ————————- PUBBLICATO —————————— TITOLO: Ecco chi puo’ “dribblare” il blocco DOVE CADE LA SCURE – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – Il blocco non e’ uguale per tutti. Il congelamento delle domande per la pensione d’ anzianita’ , gia’ presentate e accettate dall’ ente di appartenenza, infatti, risparmia alcune categorie di lavoratori. Qualcuno, quindi, puo’ tirare un sospiro di sollievo mentre in centinaia di migliaia dovranno aspettare ancora un po’ di tempo prima di incassare il sospirato assegno. I forzati del lavoro. Lo stop ai pensionamenti anticipati si applica ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, e ai lavoratori autonomi (artigiani, commercianti) che: hanno fatto domanda con decorrenza successiva al 27 settembre; hanno presentato domanda di pensionamento anticipato, anche accettata dagli enti di appartenenza, ma senza che questa sia stata perfezionata prima del 28 settembre (data di approvazione del decreto legge sul blocco). Gli esclusi. Dal blocco si salva: chi ha gia’ accumulato quarant’ anni di contributi; chi ha la pensione con decorrenza anteriore al 28 settembre; chi ha presentato domanda di pensione e questa ha gia’ concluso il suo iter burocratico; chi ha cessato il servizio per invalidita’ ; i prepensionati per esuberi di manodopera e previsti da leggi specifiche; i dipendenti di imprese in cassa integrazione (legge 223.91 sulla mobilita’ lunga e la 451.94); i dipendenti di imprese ed enti in processo di ristrutturazione e risanamento previsto dalla legge (due casi emblematici sono quelli della Rai e dell’ ente Poste). ————————- PUBBLICATO —————————— TITOLO: Quanto costa l’ altalena delle aliquote VECCHIAIA – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – Al lavoro per piu’ tempo, incassando una pensione piu’ bassa. Anche con la massima dedizione al lavoro, fino a raggiungere o quarant’ anni di anzianita’ o il tetto stabilito per l’ eta’ di vecchiaia, l’ assegno pensionistico non coprira’ piu’ del 68% dell’ ultimo stipendio. I recenti provvedimenti sul taglio del rendimento annuale delle pensioni apparsi nella manovra finanziaria si aggiungono infatti alle restrizioni introdotte due anni fa dal governo Amato, rendendo ancora piu’ avaro l’ assegno futuro. Se la riforma del ‘ 92 aveva infatti allungato il periodo preso a riferimento per il calcolo della pensione, passando dalla media retributiva degli ultimi 5 anni a quella degli ultimi 10 e all’ intera vita lavorativa per i neoassunti, la Finanziaria ‘ 94 tagliera’ ai lavoratori in servizio da piu’ anni il rendimento annuo (oggi fissato al 2%) che si usa per calcolare la pensione. Dal primo gennaio ‘ 96, infatti, l’ aliquota si riduce dal 2% all’ 1,75%, ma solo per coloro che vantavano piu’ di 15 anni di contributi al 31 dicembre ‘ 92. Un ritocco dello 0,25% in meno per ogni anno di lavoro oltre il 1996: su venti anni lavorativi significa una perdita del 5% sulla retribuzione pensionabile. Bisogna dire, pero’ , che su questo nuovo taglio e’ in corso un acceso dibattito che ne rende ancora incerta la durata e l’ attuazione. Perche’ verrebbe colpita nei diritti acquisiti una categoria di lavoratori che, alla data di oggi, ha almeno 17 anni di anzianita’ Inps alle spalle. Nelle ultime ore sembra accreditata l’ ipotesi che la riduzione all’ 1,75% valga solo dal ‘ 96 al 2001. E che da quella data in poi si torni al 2% per tutti. Quanto costera’ questo taglio ai futuri pensionati? In mancanza di notizie certe abbiamo fatto qualche conto, ipotizzando per il pensionato che aveva 15 anni di contributi al 31.12.92 un taglio perenne all’ 1,75% del rendimento per tutti gli anni contributivi dal ‘ 96 in poi. Nel grafico qui sopra ci sono le prestazioni previdenziali Inps di tre persone: un neoassunto venticinquenne, un trentacinquenne con 13 anni di anzianita’ e un quarantenne che lavora da venti. L’ inflazione e’ stimata al 4% annuo, mentre la crescita media delle retribuzioni per effetto di scatti di anzianita’ e avanzamenti di carriera si attesta al 2% reale. Diverse le retribuzioni di partenza: 25 milioni e’ il reddito del neoassunto, 40 quello del trentacinquenne mentre il lavoratore di quarant’ anni ha una retribuzione pari a 45 milioni annui. Al venticinquenne, trascorsi i quarant’ anni sul posto di lavoro, spetta una pensione pari a 32,2 milioni di lire attuali pari al 63% del suo ultimo stipendio (50,5 milioni). Al trentacinquenne la sudata pensione viene riconosciuta a 62 anni: a fronte di uno stipendio finale di 56 milioni, l’ assegno annuo Inps si riduce al 59% pari a 33,4 milioni di lire. Se per questi due lavoratori, che al 31.12.92 avevano meno di 15 anni di contributi, la novita’ consiste solo nell’ innalzamento da 35 a 40 anni di contributi per avere una pensione senza tagli (vedi servizio a fianco), il quarantenne che aveva maturato diciott’ anni di contributi al 31.12.92, vede ridotto anche il calcolo della pensione. Per effetto della discesa dell’ aliquota di rendimento dal 2% all’ 1,75% per gli anni di lavoro post 1996, la sua pensione a 60 anni si taglia del 6% passando da 45 milioni ai 42,4 ottenuti con le nuove regole. Le anzianita’ del nostro quarantenne sono state cosi’ calcolate: per i 22 di contribuzione pre 1996 si e’ presa l’ aliquota del 2% mentre per i restanti 18 anni si e’ considerata l’ aliquota ridotta all’ 1,75%. Cosi’ facendo l’ assegno annuo Inps rappresentera’ per lui solo il 68,3% dell’ ultimo stipendio. In conclusione: la fetta del reddito di ciascun lavoratore che non verra’ piu’ coperta dallo Stato sara’ pari, piu’ o meno, al 30 40%. ————————- PUBBLICATO —————————— TITOLO: Scatti sempre piu’ freddi E la perdita si moltiplica SCALA MOBILE – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – Cinquantaseimila lire per chi ha una pensione pari al minimo, quasi 280.000 per chi incassa ogni mese dall’ Inps un assegno di 1.800.000 lire (tre volte il minimo). Sono queste le perdite che i pensionati dovranno mettere in conto con la modifica dei criteri di aggiornamento delle pensioni in base all’ andamento del costo della vita. Ma i tagli saranno ben piu’ vistosi sulle pensioni “ricche” e si faranno sentire in misura maggiore man mano che passeranno gli anni. Nuovo calendario. Le pensioni non aumenteranno piu’ a novembre ma dal primo gennaio dell’ anno successivo. In pratica una volta ricevuto il prossimo mese l’ aumento previsto (il 3,5%), i pensionati dovranno attendere il primo gennaio del 1996 per vedere crescere di nuovo le loro rendite. Il che vuol dire una perdita di tre mensilita’ (considerando la tredicesima). Nuovi scatti. Cambiano le modalita’ di aggiornamento. Dal ‘ 96 si fara’ riferimento: a) alla crescita effettiva del costo della vita per le rendite che arrivano al minimo. In pratica non cambiera’ nulla rispetto alla situazione attuale; b) al tasso di inflazione programmata e non piu’ a quello reale per i trattamenti che superano il minimo. Gli effetti. Chi ha una pensione pari al minimo (623.450 lire dal prossimo novembre considerando lo scatto del 3,5% che verra’ pagato) dovra’ rinunciare, nel ‘ 95, a tre mensilita’ di scala mobile. Ipotizzando, prudenzialmente, un tasso d’ inflazione reale del 3 per cento (e quindi mezzo punto in piu’ di quello programmato) la perdita e’ di circa 56.000 lire. Di anno in anno poi ci sara’ sempre questo ritardo temporale a influire negativamente sul bilancio familiare. Gli svantaggi si fanno piu’ pesanti per le pensioni di importo maggiore. Prendiamo chi ha una rendita tre volte superiore al minimo: da novembre 1.870.350. Qui si cumulano due provvedimenti: lo slittamento dello scatto da novembre a gennaio e i nuovi meccanismi di calcolo fondati sull’ inflazione programmata. A novembre ‘ 95 il nostro pensionato avrebbe avuto diritto, a regole del gioco invariate, a uno scatto di scala mobile, sempre ipotizzando un’ inflazione reale del 3%, di quasi 54.000 lire (162.000 lire complessive in meno nell’ ultimo trimestre). A gennaio, invece, percepira’ un aumento di 45.000 lire e, quindi, per ognuno dei 13 mesi del ‘ 96 si trovera’ a perdere altre novemila lire: il ‘ 96, quindi, gli portera’ una perdita di 117.000 lire. L’ ammanco complessivo ammonta a quasi 280.000 lire. Nell’ elaborazione si e’ ipotizzato che l’ adeguamento venga calcolato con le norme attuali: scala mobile intera fino a due volte il minimo e ridotta se il pensionato percepisce assegni piu’ consistenti (aliquota ridotta al 90% da due a tre volte il minimo, e al 75% sull’ eccedenza). Da notare che il nuovo meccanismo di calcolo della scala mobile e’ destinato a incidere sempre di piu’ sui portafogli dei pensionati: lo scatto di “contingenza” verra’ calcolato, infatti, su importo della pensione aggiornato di anno in anno rispetto all’ inflazione programmata e non a quella reale.
Fracaro Massimo, Golinucci Paolo
Pagina 27
(1 ottobre 1994) – Corriere della Sera