LA BRAND REPUTATION E’ IL “PALLINO” DELLE EMILIANE – di Francesca Candioli
Per costruirsi una buona reputazione a volte ci vogliono anni, ma per perderla può bastare un secondo. Lo sanno bene i manager di undici grandi e medie imprese emiliano-romagnole, contatta- te da Corriere Imprese, che tra i pericoli di cui hanno più paura mettono i danni reputazionali. Proprio come avviene all’estero dove, secondo un’indagine di Aon — la multinazionale leader nel brokeraggio assicurativo, riassicurativo e nel consulting delle risorse umane — le aziende stanno sempre allerta quando si tratta di tutelare la propria immagine. Una preoccupazione che oltreconfine sta in cima alla lista; in Italia, invece, sempre secondo Aon, non rientra neanche nella top ten. Le undici aziende intervistate — di settori che vanno dall’industria pesante a quella alimentare, dai motori alla moda — indicano tra le loro principali preoccupazioni non solo la crisi economica, l’interruzione del business e i danni all’immagine, ma anche le intromissioni telematiche. Una variabile, di cui ancora in Italia non ci si preoccupa anche se alcuni imprenditori regionali stanno già correndo ai ripari. E che solo quest’anno — dopo alcuni episodi di hackeraggio che hanno colpito colossi come Sony — è entrata a far parte della top ten mondiale dei rischi redatta da Aon. I primi a temere quanto si dice di loro sono le imprese del settore alimentare, come Cir Food di Reggio Emilia, più soggette, sempre secondo Aon, ai danni d’immagine. «Il rischio reputazionale per chi si occupa di ristorazione è fra i più elevati, poiché il rapporto fiduciario che si crea con il tuo pubblico è fondamentale — spiega Daniela Fabbi, responsabile della comunicazione per Cir Food — nel nostro caso non siamo sempre noi a gestire la distribuzione finale, quindi è importante che tutti gli attori contribuiscano alla reputazione aziendale». Lo stesso vale per Conserve Italia di San Lazzaro di Savena: «Ogni anno facciamo un’attenta analisi delle minacce e pianifichiamo azioni volte alla mitigazione del rischio, compreso quello legato alla nostra immagine, anche se il princi- pale rimane l’interruzione dell’attività», sottolinea Enrico Parisini, responsabile dei sistemi informativi per Conserve Italia. Ma ciò che evidenzia chi esporta conserve o prepara pasti, può andare bene anche per tutto il mondo del food emiliano-romagnolo, declinato nei vari settori. Ad esempio per chi produce sciroppi e frutta sotto spirito, come spiega Massimo Toschi dell’azienda omonima di Savignano sul Panaro, che si tutela invitando i clienti in azienda: «Il rischio reputazionale è sicuramente uno dei più sentiti e pericolosi: fortunatamente a oggi non si sono verificati casi importanti, perché non abbiamo mai conosciuto delle criticità serie». «Ci siamo dotati di un sistema di monitoraggio per tutto ciò che viene pubblicato sul web in Italia e altrove sull’atti- vità dell’azienda e la qualità e l’apprezzamento dei prodotti», riferiscono da Granarolo. Pure il gruppo Cremonini di Castelvetro è sempre più attento a ciò che si dice di sé: «Soprattutto perché — fanno sapere dall’azienda modenese — l’amplificazione generata dai social crea spesso “over alarm” anche su questioni di poco conto che possono creare confusione tra gli stakeholder». Non è da meno Italia Zuccheri di Minerbio: «Siamo sempre stati un’impresa, for- temente legata al proprio territorio, la nostra reputazione ha sempre avuto un ruolo fondamentale a prescindere dalla diffusione delle nuove tecnologie», ricorda da Italia Zuccheri il direttore Giorgio Sandulli. E se dal food si passa ai motori la musica poco cam- bia. Soprattutto in casi come quello del Gruppo Landi Renzo di Cavriago, che mette la brand reputation assieme ai rischi legati alla crisi economica, alla strategia di espansione e alla tutela dei brevetti. «La nostra immagine è impor- tante agli occhi de i consuma- tori, del mercato finanziario e dei clienti industriali — sottolinea Corrado Storchi che cura la comunicazione per Landi Renzo — dunque questo tema c’è: è più facile da monitorare, ma più impegnativo da gestire». Quando il cliente è anche un internauta, le paure per la propria reputazione si moltiplicano. Di questo ne sono sempre più consapevoli soprattutto i marchi della moda regionali, come Elisabetta Franchi di Bologna, e chi fa scarpe come Casadei spa di San Mauro Pascoli. «I rischi per la nostra immagine sono aumentati — riflette Cesare Casadei che dirige l’omonimo calzaturificio — Per questo abbiamo sviluppato una strategia che consiste in un capil- lare controllo dei social e del web per tutelarci». «Anche se — osserva Raffaele Nardo, head of digital di Elisabetta Franchi — spesso i sistemi di controllo industriali in uso so- no stati progettati prima che la sicurezza informatica divenisse un problema così sentito. «E probabilmente — fa sapere Paolo Franceschini da Con.Bio. di Santarcangelo di Romagna che produce alimenti biologici — è questa una delle ragioni per cui il rischio reputazione oggi è posizionato ai primi posti». Per altre aziende invece, come si evince anche dall’indagine di Aon, la brand reputation figura tra i rischi che un marchio può correre, ma non viene inserita tra le prime preoccupazioni. Questo anche per via della specificità del settore: sempre secondo Aon le industrie italiane, soprattutto dell’ambito chimico o meccanico, nemmeno ci pensano a ciò che si dice di loro. Non è così invece per Ima di Ozza- no dell’Emilia, lo stabilimento che produce macchine per l’impacchettamento automati- co dei prodotti farmaceutici, più attenta ad altri fattori come «l’incapacità di fornire soluzioni innovative» e «la protezione della proprietà intellettuale». Ma non per questo trascura la percezione della sua immagine: «Essendo un’azienda business to busi- ness il canale comunicativo principale con i clienti rimane quello diretto piuttosto che internet, ma il rischio reputazionale rimane comunque importante», fa sapere Ima.
Fonte : LA BRAND REPUTATION E’ IL “PALLINO” DELLE EMILIANE – di Francesca Candioli
Corriere Imprese -Emilia Romagna / Corriere della Sera 23/11/2015
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