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Dove la pensione è più conveniente. Fondi o polizze: i piani individuali hanno un miglior rapporto costi-rendimenti

STRATEGIE Viaggio tra strumenti, limiti e opportunità della previdenza integrativa Dove la pensione è più conveniente Fondi o polizze: i piani individuali hanno un miglior rapporto costi-rendimenti Allacciate il paracadute. Sono numerosi gli investitori che, proprio a fine anno, decidono d’ investire sul loro futuro. E cioè destinano una parte dei risparmi alla creazione di una pensione di scorta. Una scelta che ha soprattutto motivazioni fiscali: i contributi versati entro il 31 dicembre a fondi pensione e polizze previdenziali, infatti, vanno a ridurre il reddito 2001 e consentiranno di risparmiare sulle tasse del 2002. E così i prodotti di previdenza integrativa, dopo aver marciato a rilento nei mesi scorsi, stanno registrando un’ accelerazione. All’ orizzonte, infatti, c’ è un’ altra riforma che agevolerà ulteriormente la previdenza integrativa. Il provvedimento dovrebbe stabilire fra l’ altro l’ afflusso ai fondi pensione di una quota elevata (si parla di almeno il 70%) del Tfr annuale e ridurre l’ imposizione fiscale. Si dovrebbe anche arrivare a un’ effettiva parità di trattamento fra tutti gli strumenti previdenziali: i fondi pensione chiusi, destinati a gruppi omogenei di lavoratori come i dipendenti di un’ azienda o gli appartenenti a una categoria professionale; i fondi aperti, promossi direttamente dai gestori autorizzati (compagnie di assicurazione, banche, Sim e società di gestione del risparmio) e rivolti soprattutto ad autonomi e liberi professionisti; i piani pensionistici individuali. Ma qual è la soluzione più conveniente? Meglio i fondi aperti o le nuove polizze di tipo individuale? Alle domanda che interessa, per ora, soprattutto i lavoratori autonomi e i liberi professionisti cerca di dare una risposta l’ elaborazione pubblicata qui a fianco. La tabella mette a confronto il capitale accumulato, a varie scadenze temporali, da 14 piani pensionistici individuali e 9 fondi pensione ipotizzando un versamento di 2.500 euro all’ anno (poco meno di 5 milioni). Le differenze, come si può vedere, sono piuttosto forti. Dopo 20 anni di versamenti, infatti, si va da un minimo di 59.527 euro (115 milioni) a un massimo di 75.219 euro (145 milioni). In termini percentuali il gap è di oltre il 26%. Va comunque ricordato che per il sottoscrittore non sarà quasi mai possibile incassare l’ intera somma accumula – nel nostro esempio i 59.527 o i 75.219 euro – ma solo un terzo di questa cifra (o il 50% ma con penalizzazioni fiscali), il resto verrà incamerato come rendita periodica. E utile anche ricordare che le prestazioni di fondi pensione e piani individuali vengono erogate solo al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o di anzianità (vedi servizio a pagina 12). L’ elaborazione è comunque significativa perché i diversi capitali accumulati non dipendono tanto dalla bravura dei singoli gestori – tutta da dimostrare visto che questi prodotti sono appena partiti – ma soprattutto dalla struttura dei costi. Per ognuno dei prodotti analizzati, infatti, è stato ipotizzato un rendimento annuo lordo del 5% – rispetto a un’ inflazione del 2% – e su questa base sono state elaborate le prestazioni finali tenendo conto delle spese massime previste (i caricamenti, cioè i costi sui versamenti, e le commissioni annue di gestione) da ciascun prodotto. Il rendimento annuo lordo del 5% corrisponde al tasso fissato dall’ Isvap per le simulazioni dei piani pensionistici individuali, fatta salva un’ inflazione media del 2%. Più elevati sono i costi complessivi, più bravi dovranno essere i gestori a muoversi sui mercati finanziari per poter offrire ai sottoscrittori un’ adeguata remunerazione. Come si può vedere dal grafico pubblicato qui sotto, ad esempio, per garantire dopo 25 anni un capitale di 100 mila euro al gestore che ha il prodotto più leggero in termini di costi, basta ottenere un rendimento annuo lordo del 4,62%. Mentre il collega che si trova a operare con il prodotto più caro dovrà realizzare ogni anno performance superiori al 7% per ottenere un analogo risultato. Confrontando le due categorie, le prestazioni finali sono tutto sommato equivalenti. Forse, a livello di rapporto tra costi e rendimenti, sembrano essere leggermente più convenienti i piani pensionistici individuali. Quello che fa la differenza è però la struttura dei costi: a uscire vincenti sono i prodotti che prevedono le commissioni di gestione annue più basse. I caricamenti, cioè la quota che viene trattenuta dall’ intermediario su ogni versamento, sembrano avere minore importanza, mentre il peso delle spese di gestione, che gravano sul capitale accumulato, si fa sentire di più anno dopo anno. Per chi è in cerca della formula giusta per costruirsi la rendita di scorta la scelta è comunque molto ampia. Forse c’ è, addirittura, un eccesso di prodotti. «Gran parte dell’ opinione pubblica è consapevole che la pensione pubblica non fornirà più prestazioni adeguate – sostiene Alessandro Scarfò, direttore centrale vita e previdenza della Ras – ma è poco informata sulle possibili soluzioni e incerta sulla strada da seguire». Il primo passo, dunque, è un esame molto approfondito della propria situazione, quello che gli esperti definiscono il check up previdenziale. «Prima di tutto – spiega Daniele Pesce, direttore marketing di Alleanza – è necessario porsi alcune domande. Quale percentuale dell’ ultima retribuzione offrirà la previdenza di base? Molti, per esempio, tendono a sottovalutare il divario da colmare e pensano di risolvere il problema della pensione integrativa con la classica polizza da 2,5 milioni di lire all’ anno. E ancora, quali versamenti si dovranno sostenere sino alla pensione per colmare questo gap e per sfruttare i benefici fiscali»? Solo dopo questo esame si può pensare alle possibili soluzioni. I parametri determinanti sono in primo luogo l’ età, che determina l’ orizzonte temporale del programma previdenziale, il grado di propensione al rischio e quindi la possibilità di sopportare la volatilità. Nella scelta dei prodotti bisogna poi tener conto della flessibilità della gestione finanziaria, privilegiando meccanismi che permettono di ridurre automaticamente il grado di rischio con il crescere dell’ età e la presenza coperture complementari contro i rischi di morte, invalidità permanente o perdita dell’ autosufficienza. Il confronto più immediato, anche per l’ analogia dei due prodotti, è fra fondi aperti e polizze pensionistiche. «I primi – dice Scarfò – soddisfano le esigenze pensionistiche in senso stretto, le seconde offrono una copertura previdenziale più ampia e presentano un sistema più garantista per il calcolo della rendita (vedi servizio a pagina 12, ndr): un aspetto difficile da comprendere, ma che invece riveste un’ importanza notevole». Germano Donadio, direttore centrale vita e fondi pensione di Gan Italia, mette a fuoco il tema dei costi. «Nei fondi aperti spesso indubbiamente ridotti al minimo, nelle polizze pensionistiche i caricamenti iniziali sono in media più elevati. Questo differenziale è giustificato se l’ intermediario offre un valore aggiunto in termini di consulenza e se il prodotto ha qualche cosa in più, in termini di protezione dell’ investimento e di garanzie accessorie: se le caratteristiche della gestione finanziaria sono sostanzialmente le stesse, come avviene in alcuni casi, richiedere costi maggiori non ha senso». Roberto E. Bagnoli Paolo Golinucci

Bagnoli Roberto, Golinucci Paolo

Pagina 11
(10 dicembre 2001) – Corriere Economia

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