I l Fondo pensione? Ha navigato meglio di tutti nei mari tempestosi dei mercati finanziari. Battendo i fondi comuni, i Btp, i listini mondiali, le azioni italiane e perfino i mercati Emergenti. É il risultato, un po’ a sorpresa, di un’elaborazione condotta da CorrierEconomia sull’andamento degli strumenti finanziari e previdenziali dal 1993 ad oggi. Un risultato che, forse, può aiutare gli italiani, piuttosto freddi verso la previdenza integrativa, a fare qualche riflessione aggiuntiva. Visto che la pensione è sempre più lontana. E il rapporto tra rendita e ultimo reddito sarà sempre più barcollante.
La coperta pubblica
A quasi due anni dalla legge Monti-Fornero, che per l’ennesima volta ha modificato in modo sostanziale lo scenario del sistema pensionistico obbligatorio,CorrierEconomia ha confrontato i rendimenti degli strumenti a disposizione di chi vuole prepararsi a un domani senza preoccupazioni economiche. Nel cantiere sempre aperto delle pensioni, prendere le decisioni giuste per il proprio futuro rimane fondamentale. Da un lato, infatti, nei prossimi mesi scatterà un ulteriore allungamento della vita lavorativa, che colpirà le donne (vedi altro articolo in questa pagina). Dall’altro lato, però, per i periodi successivi al primo gennaio 2012 la pensione viene calcolata con il sistema contributivo. E quest’ultimo è decisamente meno favorevole del vecchio retributivo, anche perché il vitalizio è agganciato alla variazione del Pil dell’Azienda Italia, che da alcuni anni sconta la brusca recessione mondiale. Inoltre i coefficienti di conversione del capitale accumulato sono destinati a scendere perché agganciati anch’essi alle speranze di vita.
I calcoli
In base alle simulazioni realizzate da CorrierEconomia, nei vent’anni compresi fra il 31 agosto 1993 e quello scorso, la previdenza integrativa avrebbe vinto, più o meno nettamente, contro ogni possibile alternativa. E’ stata considerata una retribuzione lorda iniziale di 25mila euro, con versamenti totali del lavoratore pari a 58mila euro. Sono stati considerati l’investimento del Tfr (il 6,91% della retribuzione lorda) sia in strumenti previdenziali che finanziari, il contributo del lavoratore (l’1,50% della retribuzione stessa) e, quando previsto, quello del datore di lavoro, cui ha diritto chi aderisce a un fondo pensione aziendale o di categoria. Quest’ultima voce (che non spetta a chi mantiene il Tfr in azienda, e che non è stata considerata per calcolare il rendimento degli altri strumenti finanziari) aumenta decisamente la convenienza della previdenza complementare. Con i fondi pensione aziendali o di categoria il capitale accumulato in vent’anni ammonta a oltre 103 mila euro contro i 58.000 versati.
Alle spalle dei fondi chiusi si piazzano i fondi comuni obbligazionari dei paesi emergenti con 101.265 euro. Al terzo posto i fondi pensione aperti (promossi da compagnie d’assicurazione, banche, Sim e Sgr) sottoscritti su base collettiva, cioè in base a un accordo fra azienda e lavoratore, con 97.185 euro: anche in questo caso si riceve il contributo aziendale. Seguono i Btp con 93.733 euro e i fondi pensione aperti ad adesione individuale, con 78.658 euro: la mancanza del contributo aziendale fa davvero la differenza rispetto allo strumento di tipo collettivo, con un montante inferiore di oltre 15mila euro. Il Tfr (che si rivaluta con un tasso dell’1,5% più il 75% dell’inflazione), è in terzultima posizione, con 75.749 euro, seguito solo dai fondi comuni azionari internazionali e da quelli Italia, rispettivamente con 68.972 e 64.829 euro.
L’elaborazione non tiene conto della tassazione prevista sulle prestazioni finali, che nel caso della previdenza complementare è molto più favorevole di quella che si applica al Tfr. Quelle liquidate dai fondi sono tassate infatti con un’aliquota del 15% ridotta dello 0,30% per ogni anno di partecipazione successivo al quindicesimo, con uno sconto massimo del 6%. L’aliquota minima che si applica al Tfr è pari invece al 23%.
FONTE : Roberto Bagnoli – Corriere della Sera – Corriere Economia – 14/10/2013
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